L’agricoltura e l’allevamento intensivo, l’industria estrattiva e quella produttiva implicano l’utilizzo di grandi quantità di acqua in tempi molto ridotti, ben al di sotto dei tempi naturali di rigenerazione dei sistemi idrici.
Questo utilizzo intensivo porta ad una progressiva degenerazione dei sistemi stessi, per inquinamento e dispersione.
I prodotti del complesso agricolo-industriale sono tipicamente commerciati a lunga distanza, determinando un flusso di cosiddetta acqua virtuale1 su larga scala ed un’appropriazione delle risorse idriche locali2. Si pensi ad esempio al flusso di acqua virtuale dal Kenia al Nord Europa, agli Stati Uniti e al Giappone attraverso la coltivazione e il commercio di fiori, realizzata utilizzando l’acqua del lago Naivasha, importante bacino ecologico ed economico per le popolazioni locali, oggi in grave declino.
Nella corsa ad uno sfruttamento agricolo-industriale sempre più massiccio, negli ultimi 50 anni si è dato inizio ad un prelievo ad alta potenza dell’acqua fossile, accumulata in milioni di anni nei grandi bacini acquiferi sotterranei. È il caso ad esempio della contesa in atto per l’accesso al grande bacino acquifero Guaranì3.
A cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.