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Autonomia energetica e democrazia

In un saggio illuminante dell’ormai lontano 1978, in piena crisi petrolifera congiunturale, il filosofo tedesco Ivan Illich solleva, in modo argomentato, la possibilità di un modello alternativo e complementare all’efficienza energetica e alla sostituzione delle fonti, definito in modo eloquente come libertà energetica. L’assunto fondante del suo approccio, oggi alla base di numerosi movimenti di democratizzazione del sistema di produzione, distribuzione ed utilizzo dell’energia (Sachs 2007, Shiva 2007), è l’esistenza di una soglia oltre la quale il benessere sociale e la crescita della disponibilità di energia smettono di andare di pari passo. In analogia con il cibo, per il quale il disagio metabolico insorge sia a causa di una carenza, la denutrizione, sia a causa di un eccesso, l’ipernutrizione, l’aumento costante di disponibilità energetica non solo non risolve di per sé la questione dell’equità di accesso, ma aumenta il disagio sociale. In tal senso, anche l’esistenza utopica di una fonte rinnovabile indefinitamente e del tutto priva di rischi ambientali non sarebbe risolutiva.

La crisi energetica non si può superare con un sovrappiù di energia. Si può soltanto dissolverla, insieme con l’illusione che fa dipendere il benessere dal numero di schiavi energetici che l’uomo ha sotto di sé. A questo scopo, è necessario identificare le soglie al di là delle quali l’energia produce guasti, e farlo in un processo politico che impegni tutta la comunità nella ricerca di tali limiti.

Un’interessante articolazione in chiave ambientale dell’intuizione di Illich, applicata alla crisi energetica attuale, è il cosiddetto modello di “contrazione e convergenza”, nato nel contesto della ricerca sul cambiamento climatico (Meyer 2000), ma estendibile al tema più generale delle politiche di sostenibilità energetica e giustizia sociale. In tale modello, tutti i paesi si dovrebbero impegnare, nell’arco di cinquant’anni, a far convergere l’utilizzo di materia ed energia per il funzionamento delle loro economie con la capacità di tenuta, ovvero di assorbimento e rigenerazione, della biosfera1. Ciò significa una sostanziale contrazione della domanda di materia ed energia per i paesi del Nord industrializzato, ed un progressivo allineamento verso l’alto, alla soglia di sostenibilità, dei paesi del Sud. Al principio di pari opportunità di crescita economica ed energetica, caratteristico della civiltà fossile, si sostituisce qui un principio di equità di accesso ai beni comuni della biosfera, nei tempi e nelle modalità di rigenerazione di quest’ultima2.

In questa prospettiva, la ricerca e l’implementazione scientifica e tecnologica di fonti energetiche rinnovabili meno impattanti sul clima e sull’ambiente resta fondamentale, ma va affiancata ad una profonda riflessione di ordine etico e politico sulle modalità di produzione e di utilizzo dell’energia globale. Non si tratta soltanto di sostituire il petrolio come fonte, ma di ridiscutere la civiltà fossile nei suoi fondamenti. La localizzazione, la diversificazione e il decentramento dei sistemi produttivi e distributivi, si accompagna all’affermazione dell’accesso all’energia come bene comune e nel contempo al recupero dell’autonomia energetica, sia nel senso dell’auto-produzione, sia in quello dell’emancipazione dal dogma della crescita indefinita.

A cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.

1 È interessante rilevare tuttavia che la tesi di Illich prevede, accanto alla soglia ambientale di utilizzo di energia procapite, una soglia di natura eminentemente sociale, e che tale soglia è addirittura inferiore a quella dalla biocapacità terrestre.

2 Per maggiori dettagli sul modello e sulle proposte per attuarlo si veda Sachs 2007.





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