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Gli strumenti di compensazione della CO2

Seguendo la stessa logica si sono sviluppati degli strumenti di “compensazione della CO2” a disposizione delle imprese pubbliche e private. Vengono contabilizzate le emissioni di gas serra durante tutte le fasi di un certo progetto e tali emissioni saranno poi “compensate” attraverso l’acquisto di una certa area di foreste in grado di riassorbirle oppure attraverso iniziative che prevedono l’impiego di energie rinnovabili. Questo genere di strumenti, in realtà, non garantisce una reale riduzione degli impatti ambientali di un’impresa (e di un paese). L’intera filiera di un processo produttivo non è causa soltanto di emissioni di gas serra (sebbene la CO2 rappresenti la maggior parte dei flussi di materia in uscita da un sistema), ma è anche causa di movimentazione di altri materiali in grado di provocare, più o meno direttamente, danni ambientali e sociali. Compensare la CO2 emessa significa destinare una parte dei propri investimenti alla comunicazione ambientale (o al raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto). Non garantisce che ci sia stato un impegno reale da parte dell’azienda nel ridurre il consumo di materia ed energia. In sostanza, in certi casi, la compensazione della CO2 emessa può comunicare un’immagine mistificatoria, attraverso una sorta di “greenwashing1. Può, inoltre, alimentare un immaginario collettivo basato sull’idea che possa esistere davvero un’attività antropica (produttiva) a “impatto zero”.

Le conseguenze di un sistema produttivo, qualunque esso sia, si manifestano sotto molteplici aspetti, non tutti valutabili sulla base di un’analisi di tipo quantitativo, né tantomeno riconducibili a un’unica variabile come la quantità di anidride carbonica emessa.

A cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.

1 neologismo inglese che indica, appunto, la comunicazione di determinate virtù sostenibili che in realtà nascondono responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi.





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