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La transizione energetica dall’uomo cacciatore-raccoglitore all’uomo agricoltore-allevatore

Il sistema energetico che caratterizza il regime sociometabolico di una società di cacciatori-raccoglitori è basato sull’impiego “passivo” dell’energia solare catturata e convertita dalle piante. In un sistema di questo tipo, l’uomo deve vivere impiegando le risorse che trova, senza potere accumulare dei beni o provocare seri problemi di inquinamento all’ambiente. L’unico elemento critico per la sua sostenibilità può essere rappresentato dall’uso eccessivo di alcune risorse fondamentali alla sua sopravvivenza (ad esempio, si ritiene che l’uomo abbia contribuito all’estinzione di alcuni animali della megafauna del Pleistocene). Questo tipo di regime ha permesso all’uomo di sopravvivere per centinaia di migliaia di anni.

L’introduzione delle tecniche agricole e di allevamento ha provocato la transizione verso il regime sociometabolico agricolo, caratterizzato da un sistema energetico basato sull’impiego “attivo” dell’energia solare. Rispetto al sistema precedente, quello agricolo modifica attivamente gli ecosistemi per incrementare e controllare la produzione di biomassa, che continua a rappresentare l’unica fonte di energia utilizzata (l’impiego dell’energia eolica o idraulica è quasi sempre trascurabile, tranne particolari casi regionali come quello dei mulini a vento in Olanda).

La conversione dell’energia solare (inutilizzabile) in biomassa (utilizzabile) ha una resa che dipende dalla natura stessa degli organismi fotosintetizzatori e che viene valutata con un valore inferiore al 5%. Questo limite fisiologico rappresenta il “collo di bottiglia” principale per la crescita delle dimensioni biofisiche del sistema socio-ecologico agricolo. Con il progredire delle esperienze e delle conoscenze tecniche (le rotazioni dei campi, le tecniche di concimazione, l’impiego degli animali, ecc.) è stato possibile aumentare la resa dei terreni, con un conseguente surplus energetico. Questo ha permesso un incremento demografico e, ad un certo punto, la possibilità che una parte della popolazione potesse dedicarsi ad attività non agricole. Nascono così i centri urbani, la cui esistenza è quindi strettamente legata a (e limitata da) un surplus energetico necessario per il loro sostentamento e, soprattutto, per il trasporto delle biomasse provenienti dai luoghi in cui vengono prodotte.

In questo tipo di sistema socio-ecologico, le modalità di impiego della terra sono ottimizzate più per la stabilizzazione a lungo termine del sistema stesso che per la massimizzazione della resa per unità di superficie. Lo stato di salute del suolo coltivato è un elemento fondamentale per la sostenibilità di questo regime metabolico. Una gestione inadatta del terreno provoca degli effetti negativi sulla sua fertilità che si possono manifestare nell’arco della vita di una persona. Si ha quindi la percezione chiara che il suolo rappresenta una risorsa non rinnovabile e che, per questa ragione, deve essere gestito in modo da garantirne il mantenimento del suo stato di salute a lungo termine. Nel variegato panorama dei sottosistemi agricoli presenti nella storia della nostra civiltà, molti hanno dovuto affrontare dei problemi di sostenibilità, sia per uno scorretto uso delle risorse (sembra che il degrado del suolo nelle regioni mesopotamiche sia da attribuire anche all’impiego di tecniche non adatte) che per motivi ambientali inevitabili (come la siccità). Il regime sociometabolico agrario ha funzionato per migliaia di anni (e continua, in buona parte, a funzionare tuttora) (Krausmann 2008, Kowalski 2007).

A cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.





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