Le strategie a bassa potenza sono fondate invece sul mettere esplicitamente in discussione il sistema economico-produttivo nel suo complesso e propongono delle modalità di redistribuzione equa dei beni comuni globali, quali la terra coltivabile, l’acqua e l’atmosfera, e di diminuzione dello sfruttamento di tali risorse ad opera dell’occidente industrializzato, attraverso una maggiore consapevolezza, efficienza e decentralizzazione energetica. Si tratta dei cosiddetti piani di contrazione e convergenza (contraction and convergence) e di ciò che Vandana Shiva definisce come “democrazia della Terra” (Shiva 2006). In tale visione, adattamento e limitazione non possono che andare di pari passo. I cittadini del nord industrializzato sono chiamati ad una maggiore consapevolezza delle ricadute climatiche dei loro stili di vita, nei trasporti, nelle scelte di consumo alimentare e non, e nella gestione dell’energia nelle proprie abitazioni1. Nel contempo, le comunità autopoietiche2, ovvero ancora fondate sull’auto-sussistenza e sull’auto-organizzazione, possono fungere in tale contesto da prezioso esempio per proporre dei modelli di decentralizzazione complessiva dei sistemi di sostentamento e di produzione. Non si tratta dunque di accelerare lo sviluppo allopoietico delle comunità locali, ovvero uno sviluppo alimentato ad alta potenza in modo centralizzato e non adattato agli ecosistemi coinvolti, ma al contrario, di favorire un recupero della capacità di produrre e condividere materia ed energia su scala locale, ed informazione e conoscenza su scala globale. Le migliori strategie di limitazione e adattamento al caos climatico consistono, in quest’ottica, nel preservare ed arricchire la biodiversità ecologica e culturale presente sul pianeta, arricchendola delle tecnologie a bassa potenza oggi a disposizione3.