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Verso una democrazia della conoscenza

Nel modello della scienza post-normale si mette chiaramente in evidenza che nelle questioni socio-ambientali complesse e controverse, la sfera dei fatti e quella dei valori non sono separabili e dunque nessuna forma di conoscenza, inclusa quella scientifica, può essere avvalorata da un predefinito concetto di verità. Si tratta quindi di determinare delle forme diverse di controllo pubblico della qualità della conoscenza (Funtowicz e Ravetz 1990). Questo implica la necessità, non soltanto etica e politica, ma primariamente cognitiva e metodologica, di estendere la partecipazione pubblica nei processi decisionali. In tale estensione della partecipazione:

La scienza è considerata come una parte della conoscenza rilevante ed è inclusa soltanto come una parte dell’evidenza probatoria del processo. L’ideale della dimostrazione scientifica rigorosa è rimpiazzato da quello del dialogo aperto e pubblico. Nel processo di produzione della conoscenza, i cittadini diventano sia critici sia creatori. Il loro contributo non deve essere definito come conoscenza ‘locale’, ‘pratica’, ‘etica’, o ‘spirituale’, ma deve essere considerata e accettata come una pluralità di prospettive legittime e coordinate dotate di significati e di strutture valoriali proprie (Funtowicz e Liberatore 2003).

Non si tratta dunque di rinunciare alla conoscenza scientifica o di sminuirne il valore, ma di attuare un processo di democratizzazione della conoscenza esperta, chiamata nel vocabolario della politica come expertise, legittimando i cittadini nel loro ruolo di critici.

Una volta ampliato, o meglio democratizzato il concetto stesso di expertise, nel riconoscere alla cittadinanza estesa non soltanto la capacità critica ma anche di creazione di conoscenza rilevante, si intraprende un processo di ‘espertizzazione’ delle procedure democratiche, ovvero si riconosce la necessità di includere una pluralità di conoscenze esperte nei processi decisionali democratici.

Si mette, dunque, in evidenza la necessità, nel decidere in merito alle questioni socio-ambientali, di passare dalla consultazione di un ristretto gruppo di esperti scienziati, ad un dialogo aperto tra politici, scienziati e cittadini. La cittadinanza estesa ha la funzione, in tale contesto, non solo di valutare la qualità della conoscenza scientifica in gioco, ma soprattutto di creare a sua volta e di mettere a disposizione dei saperi rilevanti: ne sono esempi ancora sperimentali ma promettenti le giurie popolari, i focus group, le consensus conference (Kasemir et al. 2003), e più in generale le forme di aggregazione spontanea attorno a una specifica questione, grazie, ma non solo, alla rete e alle tecnologie di informazione e comunicazione (si pensi ai social network, ai blog, eccetera).

Una interessate sperimentazione di democrazia partecipata in materia di politiche pubbliche sulla scienza è la conferenza di cittadini organizzata in Francia nel 1998, nella quale quindici persone di età, genere, formazione e occupazione diversi sono state accompagnate da un gruppo eterogeneo di esperti in un percorso di approfondimento sull’utilizzo di piante geneticamente modificate, per giungere alla produzione di un dossier informato. Pur di fronte ad un parere negativo in merito alla questione, riconfermato nel 2002, il governo francese ha continuato ad autorizzare la sperimentazione biotecnologica.1.

Un esempio di condivisione democratica di conoscenze e culture diverse, è quello della valutazione di impatto ambientale da cambiamento climatico nel Circolo Polare Artico terminata nel 2004. I popoli indigeni del Circolo Polare Artico, organizzati nell’Inuit Circumpolar Conference (ICC), hanno contribuito attivamente, accanto agli scienziati di otto nazioni diverse, nel descrivere grazie alle loro conoscenze locali sul territorio i cambiamenti in atto nell’ultima generazione2. La cultura scritta della scienza occidentale e la cultura orale dei popoli artici si sono così incontrati sul terreno comune della sostenibilità.

1 Si veda a tal proposito, l’articolo di Jacque Testart sulla rivista Le Monde diplomatique disponibile al’indirizzo: http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Febbraio-2005/pagina.php?cosa=0502lm20.01.html&titolo=L%27intelligenza%20scientifica%20e%20la%20democrazia%20partecipativa

2 Si veda a tal proposito l’Inuit Climate Impact Assessement, l’interessante intervista alla loro leader Sheila Watt-Cloutier, nel sito http://www.youtube.com/watch?v=xFIsrwrjHoY .


A cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.





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